Per chi ha piacere di leggerlo, riporto qui un bel articolo di Pino Allievi apparso sul Corriere del Ticino:
Folle, imprevedibile e predestinato fanno rima con Max Verstappen
FORMULA UNO
Ad Abu Dhabi, in un Gran Premio dal finale drammatico, l’olandese conquista il Mondiale beffano Lewis Hamilton all’ultimo giro
Quando un mondiale finisce all’ultimo giro in condizioni rocambolesche, viene sempre il sospetto di un gioco manipolato per non scontentare nessuno. Adesso Verstappen è campione del mondo e i discorsi si chiudono qui: il resto sono semplici ipotesi e chiacchiere che ci accompagneranno durante l’inverno e anche oltre, perché vedere un fenomeno come Hamilton che subisce la sconfitta all’ultimo giro dell’anno è una cosa che fa male, che grida un pochino vendetta ma nulla toglie alla sua statura immensa.
La domanda che ci si pone, dopo una conclusione tanto imprevedibile da sembrare l’epilogo di uno sceneggiato di Netflix, è se Max Verstappen abbia davvero meritato il titolo. E la risposta, lasciando perdere polemiche e veleni, è sì, in quanto l’olandese prima di tutto è un fenomeno di classe, di guida, di temperamento. Poi c’è sempre stato, ha saputo approfittare di ogni occasione, non ha commesso errori clamorosi, abile nell’estrarre dalla sua Red Bull motorizzata Honda anche quei decimi di secondo che la macchina non poteva dare.
L’eredità di Schumi
Ha avuto fortuna, Max? Certo. Tanta. Ma è costantemente andato a cercarsela, non si è mai arreso: «Mio figlio ha sempre saputo approfittare di ogni opportunità: è questa una delle sue doti migliori, insieme con quella di saper ribaltare un risultato anche all’ultimo metro»: Jos Verstappen, il papà, è stato per Max quello che Mike è stato per Andre Agassi: uno spietato allenatore, un incredibile motivatore, un feroce critico. Mike sapeva che Andre sarebbe arrivato ai vertici del tennis così come Jos – pilota di F.1 più che onesto – aveva la certezza che un giorno il suo bambino avrebbe conquistato il mondiale.
Ed è per questo che lo ha sottoposto a prove di forza disumane, andando a prenderlo a scuola il venerdì a mezzogiorno, nei mesi più freddi, per portarlo sui campi di kart italiani a conoscere le piste dove poi avrebbe corso nell’estate. Max all’epoca aveva 9 anni, quel tour de force di 1.400 chilometri a weekend tra l’Olanda e il Bel Paese, se lo è sobbarcato tantissime volte. Sempre focalizzato sull’ossessione di diventare campione, sempre coadiuvato dalla famiglia discretamente benestante, dentro la quale ci son state solo le corse e nient’altro, perché anche sua madre, Sophie Kumpen, gareggiava nei kart contro i vari Trulli, Fisichella e Button.
E tra i rivali di mamma Sophie ci fu persino Christian Horner, il responsabile della Red Bull. Max è cresciuto nei box dei circuiti senza sapere quello che nel frattempo accadeva nel mondo, immerso tra Paesi diversi dei quali non conosceva né vedeva nulla, gente più grande di lui, tempi, giri, circuiti in una corsa ubriacante, senza pause per tirare il respiro, né diversivi, né un libro per svagarsi. Oggi, finalmente, tutti questi sacrifici hanno trovato un senso, uno sbocco intriso di lacrime di gioia, lui che raramente ride e si lascia andare.
Guida decisa, scorrettezza pronta in tasca per fermare il rivale di turno, intuito felino nelle strategie – come si è visto in modo eclatante ad Abu Dhabi – Verstappen in qualche modo assomiglia a Michael Schumacher, che è stato il miglior amico di suo papà Jos, oltre che compagno di squadra alla Benetton. Max ricorda bene le vacanze invernali sulle nevi norvegesi di Trisil, dove Schumacher aveva uno chalet, ed ha ascoltato i racconti e le intimità del campionissimo tedesco, assimilandone in modo inconsapevole qualche segreto.
Un rivale fenomenale
E Hamilton? Fenomenale, inarrendevole, grandissimo nel senso sportivo del termine, dinanzi a un Verstappen che ne ha quasi sempre parlato male. L’ultima dichiarazione alla vigilia del GP di Abu Dhabi: «Avessi avuto la sua macchina, avrei vinto il titolo già da due gare»: Max sprezzante, Lewis educato, misurato, magari non sempre sincero però signore sino all’ultimo.
Sconfitto? Sì, ma è stato campione sino al penultimo giro, si è battuto da leone all’inizio con gomme che non erano quelle ideali per le prime battute di gara e avrebbe vinto se...
E qui, con i «se», appunto, ci si perde nei meandri di una direzione gara che non lo ha certo aiutato nel frangente decisivo, di una Mercedes che forse non è stata attenta nelle strategie (tutto l’anno, non solo oggi), di una condizione tecnica che non gli è stata favorevole per buona parte del campionato.
Hamilton ha dato il massimo, è stato superlativo, non meritava una disfatta in quel modo, con quella tempistica. Avesse conquistato l’ottavo titolo non avrebbe rubato nulla. Nel confronto generazionale (Lewis ha 12 anni più di Max) non ha mostrato i segni della decadenza, tutt’altro. Ma il copione dell’emozionante sceneggiato del mondiale 2021 non prevedeva un altro successo. La ripartenza con gomme nuove ultra-rapide per Verstappen e quelle usurate, da lunga distanza, di Hamilton aveva un esito scontato ed è andata come sappiamo, lasciandoci l’amaro in bocca come quelle fiabe che hanno un finale triste.